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Campioni si nasce o si diventa? La verità che nessuno vuole sentire
- 30 giugno 2025
- Posted by: carlotta.ferrari01
- Categoria: Articoli

Il dibattito su cosa determini il successo atletico, talenti innati o inesorabile dedizione, è antico e coinvolge esperti di genetica, scienze dello sport e psicologia. Alcuni sostengono che determinati atleti siano dotati fin dalla nascita di fattori biologici straordinari, mentre altri confidano nel potere dell’allenamento intensivo e di un ambiente favorevole. La realtà emerge complessa: la prestazione sportiva dipende da un intreccio di fattori genetici, ambientali, psicologici e culturali. Come evidenziano recenti rassegne, nessuna prospettiva può spiegare da sola la varietà dei risultati. Questo articolo esplora le evidenze scientifiche più aggiornate sulle influenze innate vs. acquisite, esaminando diversi sport, e sottolinea l’importanza di una visione integrata
Talento: I fattori genetici dello sport
Cosa è un talento? Più di 20 anni fa, Howe e colleghi hanno delineato 5 criteri per definire un talento “” (Baker & Wattie, 2018):
- Ha origine in strutture trasmesse geneticamente e quindi è, almeno in parte, innata.
- Gli effetti completi potrebbero non essere evidenti in una fase iniziale, ma ci saranno alcune indicazioni anticipate, che permetteranno a persone di identificare la presenza di un talento prima che livelli eccezionali di prestazioni mature.
- Queste prime indicazioni di talento forniscono una base per prevedere chi è in grado di eccellere.
- Solo una minoranza è talentuosa, perché se tutti i bambini lo fossero, non ci sarebbe modo di prevedere o spiegare il successo differenziale.
- I talenti sono relativamente specifici del dominio.
In linea con il primo punto, gli atleti d’élite spesso mostrano vantaggi fisiologici riconducibili alla genetica. Studi di genomica sportiva individuano centinaia di polimorfismi del DNA associati allo status di atleta. A tal proposito, oltre 250 varianti genetiche risultano correlate ai tratti atletici (forza, resistenza, ecc.)(Semenova et al., 2023). Inoltre, le stime di ereditarietà in studi su gemelli confermano un ruolo rilevante dei geni per molte caratteristiche chiave per la performance ottimale, con ereditarietà per la maggior parte dei tratti “sportivi” che superano il 50%. Ad esempio, varianti di geni come il ACTN3 influenzano la composizione delle fibre muscolari, favorendo rispettivamente esplosività anaerobica e, in ultimo luogo, la performance (Yang et al., 2003). Georgiades et al. (2017) concludono che la combinazione di queste predisposizioni ereditarie crea un “potenziale genetico elevato” negli atleti migliori: i dati cumulativi «favoriscono la natura nella disputa natura vs. ambiente», affermando che solo chi nasce con abilità innate superiori può diventare atleta d’élite. Pertanto, secondo alcuni la performance estrema è possibile solo a partire da un tetto genetico già alto.
Tuttavia, l’identificazione dei correlati genetici legati alla performance ottimale rimane limitata. Inoltre, sebbene ci possa essere una una possibile predisposizione, la transizione in effettiva performance non sempre avviene in modo automatico. Come evidenziato da Baker e Wattie (2018), il concetto di “talento innato” viene ritenuto valido, ma la sua effettiva utilità pratica rimane controversa.
Duro lavoro
Diversamente, altri autori sottolineano l’importanza del “duro lavoro” per il raggiungimento della peak performance. La teoria della pratica deliberata, formulata da Ericsson e colleghi, sosteneva che servissero circa 10.000 ore di esercizio per raggiungere l’eccellenza in qualsiasi ambito, dallo sport alla musica (Ericsson et al., 1993). Numerose opere di divulgazione hanno ripreso questo concetto, come Outliers di Gladwell (2009), riferendosi al “talento innato” come a un mito piuttosto che a una realtà comprovata. Difatti, secondo Ericsson’s (Ericsson et al., 2009), gli individui che raggiungevano l’eccellenza non iniziavano il loro percorso di allenamento verso il suo raggiungimento con livelli di performance eccezionale, ne raggiungevano all’improvviso capacità straordinarie in qualsiasi fase dello sviluppo. Diversamente, i loro livelli di performance fuori dal comune erano il prodotto di almeno 10 anni di pratica intensa (Apró et al., 2024). Su questa linea, il recente progetto internazionale denominato SUB2 marathon project, che mira a “rompere” la barriera delle 2h nella maratona, sta aggiungendo ulteriori evidenze all’idea che l’eccellenza sportiva sia il risultato di processi adattivi a lungo termine, più che di predisposizioni innate . Inoltre, in contrasto con il secondo e il terzo punto dei criteri precedentemente delineati, numerose evidenze indicano che le attuali modalità di identificazione precoce del talento risultano poco efficaci, soprattutto quando applicate in età molto giovane (ad esempio intorno ai 7 anni). Pertanto, per quanto sia plausibile l’idea dell’ esistenza di segnali anticipatori di “talento”, le strategie attuali non sono ancora in grado di identificarle. È possibile ipotizzare che questo accada per i numerosi bias (e.g., bias di conferma) e problemi presenti in questo contesto. Ad esempio, numerose ricerche condotte nello sport d’élite hanno mostrato che molti degli elementi oggi ritenuti predittivi della performance futura si rivelano in realtà incoerenti e inaffidabili (Johnston et al., 2017; MacNamara et al., 2010; Till & Baker, 2020; Feddersen et al., 2021).
Tuttavia, le evidenze empiriche rivelano limiti di questa prospettiva estrema. Macnamara e colleghi (2016) riportano che la sola pratica deliberata spiega in media solo il 18% della varianza prestazionale negli sport. Ancora più sorprendente, tra i campioni d’élite quella percentuale scende all’1% . In altre parole, in atleti di elite, la performance è composta per solo 1% dalla pratica deliberata, e una grande porzione della loro performance è influenzata da altri fattori. Pertanto, per quanto abbia un’ influenza, l’allenamento non ha l’esclusiva del definire la prestazione.
Conclusione
In conclusione, il dibattito sul successo atletico non può risolversi attraverso un approccio dicotomico che opponga il talento innato al duro lavoro. L’evidenza scientifica più recente dimostra che la prestazione sportiva d’élite emerge da un’interazione dinamica e complessa di fattori genetici, ambientali, psicologici e culturali. Da un lato, esiste indubbiamente un substrato genetico che può predisporre certi individui a raggiungere performance eccezionali, fornendo loro vantaggi fisiologici difficilmente replicabili attraverso la sola pratica. Dall’altro lato, emerge con chiarezza che il duro lavoro e l’ambiente di allenamento rivestono un ruolo essenziale e complementare, capace di massimizzare e realizzare il potenziale innato degli atleti. Pertanto, la visione contemporanea più equilibrata suggerisce che per coltivare al meglio l’eccellenza atletica occorre adottare strategie globali e multidimensionali, integrando metodi di allenamento personalizzati con la consapevolezza delle predisposizioni genetiche, e sostenendo lo sviluppo psicologico e motivazionale degli atleti. Solo attraverso un approccio integrato, che rispetti e valorizzi tanto le qualità innate quanto l’impegno sistematico e le condizioni ambientali, è possibile avvicinarsi alla comprensione reale e completa dell’expertise sportiva e, di conseguenza, favorire la piena espressione delle potenzialità di ciascun atleta.
A cura del Dott. Diego Di Russo
Dott. Alessandro Bargnani | CEO Psicologi Dello Sport Italia
Bibliografia
- Apró, A., Fejes, N., Bandi, S. A., & Járai, R. (2024). Investigating the effect of grit trait on performance and success in Hungarian athlete’s sample. Frontiers in Psychology, 15, 1283115. https://doi.org/10.3389/fpsyg.2024.1283115
- Baker, J., & Wattie, N. (2018). Innate talent in sport: Separating Myth From Reality. Current Issues in Sport Science, 3, 6.
- Ericsson, K. A., Krampe, R. T., & Tesch-Römer, C. (1993). The role of deliberate practice in the acquisition of expert performance. Psychological Review, 100(3), 363–406. https://doi.org/10.1037/0033-295x.100.3.363
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- Georgiades, E., Klissouras, V., Baulch, J., Wang, G., & Pitsiladis, Y. (2017). Why nature prevails over nurture in the making of the elite athlete. BMC Genomics, 18(S8). https://doi.org/10.1186/s12864-017-4190-8
- Gladwell, M. (2009). Outliers: Storia del successo (G. Maugeri, Trad.). Mondadori
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- Semenova, E. A., Hall, E. C. R., & Ahmetov, I. I. (2023). Genes and Athletic Performance: the 2023 Update. Genes, 14(6), 1235. https://doi.org/10.3390/genes14061235
- Till, K., & Baker, J. (2020). Challenges and [Possible] solutions to optimizing talent identification and development in sport. Frontiers in Psychology, 11. https://doi.org/10.3389/fpsyg.2020.00664
- Yang, N., MacArthur, D. G., Gulbin, J. P., Hahn, A. G., Beggs, A. H., Easteal, S., & North, K. (2003). ACTN3 Genotype Is Associated with Human Elite Athletic Performance. The American Journal of Human Genetics, 73(3), 627–631. https://doi.org/10.1086/377590