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Benessere mentale e attività fisica: una questione anche di genere?
- 4 agosto 2025
- Posted by: carlotta.ferrari01
- Categoria: Articoli

Negli ultimi anni, il benessere mentale è diventato un tema centrale nella discussione pubblica, in particolare dopo la pandemia da COVID-19 che ha acuito disagi psicologici in molte fasce della popolazione. In risposta a questa crescente emergenza silenziosa, la ricerca ha posto l’accento su strategie preventive e accessibili per migliorare il benessere psicologico. Tra queste, una delle più efficaci e sottovalutate è l’attività fisica, soprattutto quella moderata.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il benessere mentale non è semplicemente l’assenza di malattia, bensì uno stato in cui l’individuo riesce a realizzare le proprie capacità, a gestire le normali tensioni della vita, a lavorare produttivamente e a contribuire alla propria comunità. A livello soggettivo, il benessere mentale si manifesta con sentimenti di ottimismo, autostima, connessione sociale e vitalità.
L’OMS fornisce anche indicazioni sulla definizione di attività fisica moderata, ovvero qualsiasi attività che aumenti la frequenza cardiaca e il respiro ma che consenta comunque di parlare senza affanno. Tra gli esempi comuni ci sono:
- Camminare a passo sostenuto
- Andare in bicicletta a ritmo tranquillo
- Ballare
- Fare giardinaggio
- Nuotare a bassa intensità
- Fare lavori domestici impegnativi
La raccomandazione generale per gli adulti è di almeno 150 minuti a settimana di attività fisica moderata. A differenza degli esercizi ad alta intensità, quelli moderati sono più accessibili, soprattutto per persone con uno stile di vita sedentario, patologie croniche o barriere psicologiche all’attività sportiva.
Numerosi studi hanno evidenziato che esiste una correlazione positiva tra attività fisica moderata e livelli di benessere mentale. Una ricerca condotta negli Stati Uniti su oltre 1,2 milioni di persone ha dimostrato che coloro che si esercitano regolarmente riportano migliori condizioni mentali rispetto a chi è sedentario (Chekroud et al., 2018). Effetti benefici sono stati osservati anche su depressione, ansia e autostima.
Ma se è vero che muoversi fa bene alla mente, è anche vero che non tutti ne traggono gli stessi benefici allo stesso modo. Le differenze di genere – siano esse biologiche, sociali o identitarie – giocano un ruolo importante nel rapporto tra corpo in movimento e benessere mentale.
In media, gli uomini dedicano più tempo all’attività fisica rispetto alle donne (Saxena et al., 2005). Questo può spiegare, almeno in parte, perché gli uomini tendono a riportare livelli più alti di benessere mentale. La letteratura suggerisce che gli uomini sviluppano una maggiore autonomia, autoaccettazione e senso di padronanza della propria vita – elementi centrali nel benessere psicologico. Tuttavia, non tutto è roseo: alcuni studi indicano che gli uomini possono avere relazioni interpersonali meno soddisfacenti, e sono meno propensi a cercare supporto psicologico, il che può rendere invisibili alcune problematiche sottostanti.
Le donne tendono ad avere peggiori indicatori di salute mentale, inclusi livelli più alti di ansia, depressione e stress cronico (Riecher-Rössler, 2016). Le cause sono complesse: dal carico mentale familiare alle disuguaglianze sul lavoro, fino alle pressioni estetiche e sociali.
Nonostante ciò, le donne che praticano attività fisica moderata traggono grandi benefici: migliorano l’umore, la percezione corporea e la resilienza emotiva. È stato osservato, inoltre, che le donne sono più sensibili agli effetti dell’attività fisica sul benessere sociale, come sentirsi più connesse agli altri (Cerin et al., 2009).
Pochissime indagini hanno incluso individui non cisgender nei loro campioni, lasciando un vuoto importante nella letteratura scientifica. Nonostante le informazioni a disposizione siano ancora limitate, emergono dati allarmanti, in quanto presentano livelli più bassi di benessere mentale e tassi significativamente più alti di depressione, ansia e autolesionismo (Aparicio-García et al., 2018). Le cause principali sono la discriminazione, la mancanza di supporto sociale e le barriere nell’accesso agli ambienti sportivi, spesso percepiti come ostili o esclusivi. L’abbigliamento, gli spogliatoi divisi per sesso e l’ansia da giudizio possono disincentivare la partecipazione.
Gli studi di Jones et al. (2017, 2018) mostrano che le persone transgender fanno meno attività fisica rispetto ai cisgender, proprio a causa di questi ostacoli. Eppure, quando praticata in ambienti inclusivi, anche per loro l’attività fisica può portare benefici simili: riduzione della disforia, aumento dell’autoefficacia e rafforzamento dell’identità. Diventa quindi fondamentale creare spazi neutri, sicuri e accessibili, oltre a formare gli istruttori su tematiche LGBTQIA+.
In conclusione, il legame tra attività fisica moderata e benessere mentale è chiaro e documentato. Tuttavia, i benefici non sono distribuiti equamente: genere, identità e contesto sociale giocano un ruolo chiave nella capacità di accedere e beneficiare dell’esercizio fisico. Investire in politiche inclusive e personalizzate non è solo una questione di equità, ma anche di efficacia: solo così l’attività fisica potrà diventare uno strumento realmente democratico di promozione del benessere per tutti.
A cura della Dott.ssa Veronica Mattarozzi
Alessandro Bargnani CEO
BIBLIOGRAFIA
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