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L’allenatore leader
Come può sentirsi un gruppo quando percepisce di essere guidato da una figura verso la quale non ha fiducia? Male è un eufemismo. Viene poi facile ipotizzare come questo malessere peggiori all’aumentare delle capacità, della professionalità e dell’esperienza dei membri che lo compongono.
De Vries e Miller (1996), in un esame sugli effetti della leadership sui climi organizzativi, hanno evidenziato la presenza di un fenomeno denominato “organizzazione nevrotica”, dove le organizzazioni in crisi o a scarso rendimento ripropongono gli aspetti di criticità propri del leader che le guida, creando quindi una cultura interna che tenderà ad estendere le caratteristiche del leader a tutto il gruppo di lavoro (nel concreto: se il leader è poco chiaro, le dinamiche interne nel gruppo fra colleghi/e saranno poco chiare; se il leader è pressapochista, le modalità del gruppo di lavoro e dei singoli saranno poco precise, ecc..). La psicologia sociale e del lavoro mette quindi in guardia: un leader porterà parte di sé nel gruppo che è chiamato a gestire, elementi positivi così come elementi problematici verranno ripresentati nel team di lavoro e se i secondi saranno lasciati “liberi”, molt0 probabilmente condurranno a problemi interni. L’ambito sportivo non fa differenza, a maggior ragione nel mondo di oggi, in cui le società sportive sono aziende e in cui atleti e atlete sono imprenditori e imprenditrici, figure che muovono capitali e che condizionano milioni di persone.
Le caratteristiche di un leader efficace in un contesto di squadra possono variare a seconda del settore, della cultura societaria e delle specifiche esigenze del team. Primo punto essenziale: in ogni sport ci sono leader designati dall’organizzazione, come il direttore generale, il direttore sportivo o l’allenatore; e leader interni al gruppo, investiti di tale carica dai pari in virtù di diverse doti che possono essere prettamente tecniche, esempio calcistico è Messi; o prettamente legate al carisma dentro lo spogliatoio, Pinsoglio; o entrambe, Lautaro. Gli esempi potrebbero essere molteplici in plurime discipline dall’atletica, al basket, dalla pallavolo al ciclismo, ecc.. In questo articolo mi soffermerò esclusivamente sul ruolo dell’allenatore lasciando ad altri momenti un approfondimento sugli altri tipi di leader.
È piuttosto semplice, a livello teorico, elencare le caratteristiche che dovrebbe possedere un buon allenatore in quanto leader di una squadra, vorrei però soffermarmi qui su aspetti personologici più trasversali e meno tecnici. Soprattutto a livello di settore giovanile, ma non solo, in cui ricopre il ruolo di educatore e quindi di modello, è essenziale che l’allenatore possieda la maturità emotiva per riconoscere, comprendere e gestire le proprie emozioni in modo efficace, nonché deve saper riconoscere e rispondere alle emozioni delle persone che lo circondano in modo altrettanto efficace. Questo aspetto è cruciale nella gestione del gruppo e diventa fondamentale quando la squadra si trova a vivere periodi negativi e di difficoltà: l’allenatore efficace è in grado di accogliere il momento sfavorevole, l’emotività della squadra e dei suoi membri, sa accettare la presenza di momenti di difficoltà, sa riconoscerli, legittimarli senza sminuirli o cercare di evitarli. Quando presente, è fondamentale che l’allenatore espliciti il problema interno al team in modo da non lasciarlo latente, non deve vivere le difficoltà della squadra come fallimenti personali o attacchi alla propria persona, irrigidendosi (ferite narcisistiche). Al contrario, questi momenti vanno affrontati per quello che sono, cioè fasi naturali della vita del gruppo squadra (mi soffermerò sulle fasi del gruppo in un altro spazio) e occasioni per ricalibrare il proprio operato (antifragilità). Nelle difficoltà della squadra è importante che sia e che si mostri solido, che ripeto, non significa ignorare o negare le difficoltà, ma affrontarle. È in questi momenti che si vede l’abilità della persona e la qualità del lavoro svolto precedentemente. Mostrandosi saldo anche nelle difficoltà, l’allenatore si pone come modello da seguire, guida affidabile sulla quale riporre fiducia. In questo modo sarà in grado di mantenere il gruppo unito, anche di fronte alle difficoltà, facendo leva sulle risorse e sulle qualità del gruppo stesso. Gestire una squadra quando le cose vanno bene è relativamente semplice, è saper manovrare il timone con destrezza nelle difficoltà che fa la differenza.
Rimanere saldo però non significa essere rigido, anzi, è essenziale che l’allenatore sviluppi una forma mentis riassumibile in “tenere aperto”, cioè possedere la flessibilità psicologica e la capacità di adattarsi con consapevolezza alle mutevoli esigenze della squadra e dell’organizzazione della quale fa parte. In un ambiente e in un mondo altamente mutevole è di grande, grandissimo aiuto questa disposizione mentale, che permette alla persona di abbracciare l’incertezza evitando di arroccarsi su propri schemi di pensiero rigidi e immutabili. L’incertezza non è piacevole, porta insicurezza e disorientamento, per cui utilizzare e affidarsi a strategieconosciute è naturale, tuttavia quando le condizioni nelle quali ci si trova variano, l’utilizzare quelle stesse strategie rigide e ben conosciute può diventare il problema stesso. Tenere aperto, abbracciarel’incertezza, intraprendere nuove azioni seguendo la linea di valori personali e dell’organizzazione dellaquale si fa parte, può essere la soluzione.
Sul terreno di gioco ci vanno atleti e atlete, giocatori e giocatrici, nei momenti cruciali sono loro che devono essere in grado di risolvere efficacemente la situazione, il bravo allenatore allena all’indipendenza. L’allenatore competente sa riconoscere su chi può contare, su quali collaboratori e componenti del gruppo riporre fiducia, sa cosa può chiedere e a chi chiederlo. D’altro canto icomponenti di una squadra non sono tutti uguali, per questo è necessario che l’allenatore sia in grado di individuare i membri del team ai quali delegare compiti e responsabilità, è essenziale che sappia riporre fiducia nelle capacità altrui, nutrendo e promuovendone l’autonomia personale. Attenzione, dare fiducia e delegare non significa “scaricare” sull’altro le responsabilità: nel momento di prendere decisioni l’allenatore solido deve essere in grado di chiedere aiuto a collaboratrici, collaboratori e membri del team, ma è lui in definitiva a dover assumersi l’onore della scelta.
Alla stregua di quanto può accadere in ambito aziendale, un allenatore non competente, in primis a livello umano, avrà un impatto profondamente negativo sulle emozioni e sulle dinamiche interne del gruppo, inteso non solo come insieme di atleti e atlete, ma anche di collaboratori e collaboratrici, elemento essenziale in ambito sportivo e non solo. La mancanza di “abilità umane” porterà ad una gestione inefficiente del team, causando frustrazione tra i membri che ne fanno parte. L’incertezza e l’instabilità, in questo caso sregolate, possono condurre ad un clima generale contraddistinto da stress e malessere, un clima in cui è naturale emergano rabbia e risentimento, soprattutto se i singoli percepiscono che le proprie competenze e abilità non sono valorizzate. Malcontento, conflitti e tensioni, ancora peggio se non esplicitate, letteralmente “bruciano” le energie psichiche e fisiche dei singoli, conducono a disarmonia all’interno del team confluendo in una naturale diminuzione delle prestazioni del singolo e della squadra. È quindi evidente come un allenatore si dimostri leader se possiede determinate qualità personali e se èin grado di riproporle nel team e nell’organizzazione, qualità che, ancora una volta, non si limitano fortunatamente ai soli aspetti tecnici, ma che comprendono in primis quelli umani.
Richiamando alcuni concetti proposti da J.Velasco durante le innumerevoli formazioni sul ruolo del leader, facilmente reperibili online, è quindi fondamentale che l’allenatore sia innanzitutto sé stesso, evitando di cercare di apparire ciò che non è: se si sforza di indossare panni che non gli appartengono econ i quali non è “comodo”, i membri della squadra percepiranno la discrepanza e perderà di credibilità. Dovrà mostrarsi autorevole e competente circa quello che tratta e fa, dovrà saper maneggiare i dettagli del proprio lavoro: deve cioè conoscere i particolari della disciplina. La conoscenza e la competenzavanno costruite tramite l’esperienza e lo studio, queste sono infatti elementi fondamentali per essere utile nel momento in cui i membri della squadra hanno bisogno di lui per risolvere situazioni problematiche e non: più l’allenatore sa, più sarà competente, più potrà fornire informazioni concrete e precise, cioè modi di affrontare le diverse situazioni e i diversi problemi. L’allenatore leader deve quindi essere esigente e pretendere dal proprio gruppo, ma allo stesso momento deve essere in grado di aiutare i componenti del gruppo a raggiungere quanto richiesto. È poi necessario che l’autorevolezza sia accompagnata dall’umiltà di riconoscere quando non sa o ha bisogno di aiuto, e in questo caso è essenziale la capacità e la disponibilità a chiedere e affidarsi a persone che possono dargli preziose informazioni, anche se con incarichi di rango inferiore al suo. L’allenatore è chiamato ad essere una persona corretta, equa, la squadra ha regole interne che lui in primis deve fare rispettare. E quando per cambiamenti interni o esterni non può fare rispettare ilprincipio di equità, deve essere onesto, innanzitutto con sé stesso, e verbalizzare chiaramente i motivi alla base del suo comportamento, esplicitarli e ancora una volta non lasciare spazio al “non detto”.
Infine, aspetto fondamentale per promuovere e sviluppare un senso di appartenenza, è necessario che sia affettivo. È l’affettività che crea con i singoli e con la squadra a formare la base sicura, la fiducia e il legame che possono spingere atleti, atlete e tutti i componenti del team di lavoro a dare quel qualcosa in più che può portare alle imprese sportive, grandi o piccole che siano, ma sempre imprese.
A cura del Dott. Fabio Dalla Vecchia
Dott. Alessandro Bargnani | CEO Psicologi Dello Sport Italia
Bibliografia:
De Vries M. K.; D. Miller. L’organizzazione nevrotica. Una diagnosi in profondità dei disturbi e delle patologie del comportamento organizzativo. Raffaello Cortina Editore (1996).